Parlare di Genova significa pensare al mare e alla Repubblica marinara, ricordare la Lanterna, il porto antico e quello moderno, e il centro storico che costituisce il più vasto nucleo urbano medioevale e rinascimentale ancora esistente in Europa. Si ricordano i viaggi di Cristoforo Colombo, la musica di Niccolò Paganini o l’epica missione dei Mille, partita dal capoluogo ligure al comando di Giuseppe Garibaldi. Pochi, però, conoscono l’intensa attività scientifica di alcuni Genovesi diventati famosi in tutto il mondo per le loro ricerche e per i giardini botanici che riuscirono ad organizzare tra il mare e le montagne della vecchia città; il lavoro dei Durazzo, Dinegro, Viviani e Bertoloni è purtroppo oggi dimenticato. L’Illuminismo favorì a Genova lo sviluppo scientifico e, in particolare, colpisce l’interesse per le piante da parte di numerosi rappresentanti dell’aristocrazia genovese. La capacità dei ricercatori e dei collezionisti era tale che in tutta l’Europa ottocentesca si guardava alla Liguria come a un paradiso verde, adatto al mantenimento in vita di molti e rari esemplari tropicali. Notevoli furono, in questo senso, gli sforzi organizzativi ed economici per ottenere i metodi migliori che la tecnologia, in quel periodo, poteva offrire. Giardinieri di pregio, soluzioni tecniche avanzate in serra, stufe moderne, sistemi di condizionamento dei ricoveri, permisero di creare collezioni eccezionali: nei primi decenni del XIX secolo si contavano in Genova quattro Orti Botanici e molti altri giardini, di particolare valore scientifico, situati nelle residenze nobiliari della periferia della città. Il primo Orto Botanico fu quello dell’attuale Villetta Di Negro, proprietà prima di Ippolito Durazzo (1780) poi di Di Negro (1801), dove il marchese Giancarlo istituì la prima Scuola di Botanica della Liguria: la consistenza del giardino (1844 taxa) è valutabile con il catalogo redatto da Domenico Viviani nel 1802. Lo spirito di competizione ed il desiderio di prestigio portarono il marchese Ippolito Durazzo a costruire, nello stesso periodo e in soli due anni, il suo secondo Orto Botanico sulle Mura dello Zerbino (1803); ad un anno dalla fondazione venne redatto un catalogo nel quale il proprietario potè annoverare addirittura 2208 taxa, tra i quali molti di origine esotica e in particolare tropicale. Le ragioni che resero il nuovo giardino migliore di quello di Di Negro furono sia la soluzione tecnica di coltivare le piante in vaso per meglio dare loro ricovero, in inverno, nelle serre riscaldate fatte costruire ex novo, sia una migliore preparazione scientifica formata sulle opere più; attuali di De Candolle e Willdenow. Ippolito Durazzo riuscì in tal senso a ricevere particolari apprezzamenti da esimi botanici dell’epoca quali Smith, Scopoli e Bertoloni. La più ricca quantità di specie esotiche si riscontrava, ad ogni modo, nelle ricche collezioni della marchesa Clelia Durazzo, costituite da ben 1664 taxa e conservate a Pegli nelle efficienti aranciere a gradoni. Veduta dalla terrazza L’Orto Botanico dell’Università di Genova venne istituito nel 1803 con l’acquisizione di una piccola porzione (2000 metri quadri) dell’antica tenuta del Collegio di S.Gerolamo in Balbi, posseduto sino alla fine del ‘700 dalla congregazione dei Gesuiti; pur essendo limitato nel numero delle specie coltivate (1011), esso si distingueva per la peculiarità didattica e per la collezione di piante officinali. L’Ateneo genovese da circa un secolo si stava prodigando nella ricerca scientifica in campo medico, ma non aveva mai posseduto un laboratorio “in vivo” delle piante officinali più usate in quell’epoca. Gli illustri medici settecenteschi genovesi avevano ricevuto un’educazione botanica approfondita ma non poterono mai godere dello studio sul campo. Si tentò di costituire nel 1782 una prima traccia di Orto Botanico grazie all’interessamento di un docente di chimica, l’inglese Batt, ma l’esperienza ebbe in pochi anni un esito infelice. Per interessamento del Governo della Repubblica si arrivò ad un accordo secondo il quale il marchese Di Negro avrebbe sostenuto finanziariamente, quale laboratorio sul terreno, la Scuola di Botanica che trovò nuova sede presso l’Università nel 1803, con l’avvenuta piena autonomia dell’Ateneo genovese. Su insistenti spinte esterne, l’Ateneo genovese riuscì ad ottenere, all’inizio dell’800, parte dell’area retrostante il palazzo universitario di via Balbi e, consegnando la cattedra di Botanica e Storia Naturale della Scuola di Medicina a Viviani, istituì di fatto il primo centro universitario di ricerca botanica. Lo sviluppo di questo centro risultò estremamente veloce date le conoscenze e le capacità del suo primo direttore, e anche perché Viviani portò con sé, come dote, la personale collezione di piante vive officinali; a quindici anni dalla fondazione (1819) potè essere redatto un catalogo delle specie conservate nell’Orto Botanico: si tratta di 1011 taxa di cui il 60% è costituita da piante officinali di origine europea, a dimostrare una chiara e precisa impostazione medico-didattica della collezione (Minuto, 1994). Nell’ambito del nuovo giardino genovese si era instaurato altresì un fiorente centro di ricerca, fornito di una biblioteca ricca e di un erbario importante. Nel 1835, un anno prima che Viviani lasciasse il suo incarico, l’Università acquisì una parte ulteriore della retrostante tenuta di Pietraminuta di proprietà dei Gesuiti, aggiungendo 4.000 metri quadri distribuiti su due ampi terrazzi. Risalgono agli anni di attività di Viviani, e sono oggi ancora vivi, alcuni esemplari che talvolta faticano a sopportare il grande peso dei loro anni: altissimi cipressi (Cupressus sempervirens L.), un vecchio cedro del Libano (Cedrus libani A. Rich.), una maestosa Firmiana simplex (L.) W.F.Wight, una Gleditsia triacanthos L. ed una sequoia [Sequoia sempervirens (D.Don) Endl.].
In questa prima fase della sua vita, l’Orto Botanico venne dotato di una serra fredda rudimentale, costruita in legno, denominata “stufetta”, nella quale furono ricoverate le principali specie esotiche. Nel 1839 la direzione dell’Orto Botanico passò nelle mani del prof.Giuseppe De Notaris, uomo di grande talento scientifico e didattico, ma soprattutto di straordinarie capacità organizzative (Gentile, 1992). In trentatré anni di direzione fornì notevole impulso alla crescita del giardino e nel 1859 iniziò la costruzione della serra grande in muratura e con superficie di circa mille metri quadrati, che potè ospitare molte nuove piante esotiche sia in piena terra sia in vaso. Il reperimento di nuove entità tropicali fu alacre in questo periodo, per riparare i danni subiti dallo storico gelo dell’inverno 1845-46 (Pichi Sermolli, 1963), e alcune delle entità risalenti ad allora sono ancora presenti, come i magnifici esemplari di felci arboree (Cibotium regale Versch.et Lem., Cibotium schiedei Schlechtend.et Cham.), e due stupende Angiopteris evecta (G.Forst.) Hoffm. All’esterno furono messi a dimora interessanti esemplari di Arbutus canariensis Duham.Arb., Diospyros kaki L., Ginkgo biloba L., Peumus boldus Molina, Phoenix canariensis Host et Chabaud, Phytolacca dioica L., Quercus laurifolia Michx. e Washingtonia filifera H.Wendl. Nel 1865 si ebbe il completamento dell’assetto dell’Orto Botanico con l’acquisto della parte rimenente della tenuta di Pietraminuta, e la superficie totale si estese fino ai diecimila metri quadrati. Viene ricordata, in questo felice periodo dell’Orto Botanico, l’opera importante e preziosa di Giovanni Bucco, bravissimo capo-giardiniere, che lo stesso De Notaris definì “giardiniere-botanico”, e che fornì il proprio servizio per quasi cinquant’anni. La direzione transitoria di Federico Delpino precedette l’ultima grande trasformazione del centro di ricerca genovese ad opera di Ottone Penzig (Pichi Sermolli, 1963). Le sue capacità scientifiche e gestionali portano alla nascita di importanti rapporti di lavoro con altre sedi universitarie ed in particolare con privati come Sir Thomas Hanbury, proprietario dal 1867 di un giardino di acclimatazione a La Mortola (Ventimiglia). Nacque, infatti, una assidua collaborazione con il baronetto inglese, che fruttò al giardino genovese l’acquisizione di nuovi esemplari e soprattutto di aiuti finanziari. Grazie, allora, ad una donazione di Hanbury si decise di costruire il nuovo Istituto di Botanica, per permettere ai cultori genovesi della materia di avere una dignitosa sede per i laboratori. I lavori, iniziati nel 1890, furono completati in un paio di anni e, in occasione delle manifestazioni del IV centenario della scoperta dell’America, venne inaugurata la nuova struttura con l’allestimento del primo Congresso Internazionale di Botanica in Italia (Penzig, 1893). In tale importante occasione, Penzig spese ogni sua attività per arricchire la biblioteca, l’erbario, il museo, il laboratorio e l’Orto, così che alla sua morte, nel 1929, l’Istituto Botanico Hanbury era divenuto un centro di studio di fama internazionale con collezioni di inestimabile valore. La conduzione dell’Orto Botanico rimase sino alla fine degli anni ’20 nelle mani di Penzig, ed a partire dal 1930 passò ad Augusto Beguinot (1930-40). La storia politico-sociale italiana influì purtroppo negativamente sull’Orto Botanico, e non è certo demerito del direttore se a partire da quegli anni il giardino conobbe la parte più triste della sua storia. Il bombardamento e la distruzione dell’Istituto, di cui rimasero solo i muri perimetrali, durante la seconda Guerra mondiale, portarono profondi cambiamenti alla fisionomia del giardino: alberi danneggiati, detriti smaltiti in molte parti dell’Orto, problemi enormi nella gestione delle serre che, per essere mantenute tiepide nei rigidi inverni vennero addirittura scaldate con il fuoco ottenuto bruciando essiccati dell’erbario e pezzi di legno del Museo e della collezione didattica. Dopo la presenza transitoria di Roberto Savelli (1940-41), toccò a Giuseppina Zanoni (1942-58) il compito del restauro: essa si prodigò per il ripristino della biblioteca, diede un profondo impulso alla ricerca biologica e dotò l’Orto di un efficiente sistema di approvvigionamento idrico, dovuto alla costruzione di una nuova vasca di accumulo delle acque. Un nuovo aspetto venne dato all’Orto durante la direzione di Rodolfo Pichi Sermolli (1958-72), che costruì una piccola serra per le succulente e che, nel 1965, attuò la ricostruzione ex novo della serra grande. Questa nuova struttura, concepita con tecnologie avanzate, venne dotata di moderni impianti automatici di apertura, di termoregolazione, di innaffiatura e di umidificazione. La revisione della collezione delle felci diede un notevole lustro al campo che aveva già reso famoso il giardino genovese per i suoi esemplari. Salvatore Gentile (1972-80 e 1984-89), Letizia Bevilacqua (1981-83 e 1989-1993) e Paola Profumo (1993-1998), incrementarono sia il restauro delle strutture, sia quello dell’erbario e delle collezioni di esemplari vivi.